Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Cene famigliari e guru dell’alimentazione

E se fossimo tutti educati al cannibalismo? Su un bel film di Peter Hengl.

Famille, je vous hais. Questo un verso celebre di André Gide, così come il titolo di un film di Bruno Bontzolakis del 1997. Questa anche la frase che mi è venuta in mente quando ho finito di vedere Family Dinner, produzione austriaca di Peter Hengl del 2022.

Simi, ragazza obesa, decide di passare una settimana a casa della zia Claudia, celebre nutrizionista il cui successo sembra oggi traballare. Potrebbe essere la volta buona che trova il coraggio di iniziare una dieta. Qui, fra gli isolati boschi transfrontalieri (siamo in Germania, ma sul confine con l’Austria), incontra anche il nuovo compagno della zia – il fisicato e ambivalente Stefan – e il cugino problematico Filipp. Una neo-famiglia prima restia ad accoglierla, ma che rapidamente si apre a lei, fino al cenone di Pasqua (durante il quale Simi a sua insaputa consumerà il povero Filipp, seviziato un giorno prima nel capanno dagli amorevoli zietti).

Il film è un diamantino grezzo, di quelli che trovi quando provi a uscire un po’ fuori dai binari dell’home page (siamo su Amazon Prime Video). Slow Cinema in piena regola, spesso silente, senza alcun bisogno di ricorrere a jumpscare o soluzioni “del genere” riesce ad articolare un aggiornamento aguzzo del filone cannibal, che altrimenti davamo per sepolto o, al più, redivivo solo per le occasioni speciali: il remake o il divertissement.

Family Dinner invece sfrutta la questione cannibale per problematizzare due dei nervi scoperti della contemporaneità. Da un lato la famiglia, istituzione antica e oggi discussissima, fra i conservatorismi politici in auge (che con Dio e patria usano l’unione famigliare per foraggiare gli istinti più retrivi del popolino) e le spinte per un’emancipazione se non dall’istituto quantomeno dal suo concetto più amorale. Simi lascia infatti la sua di famiglia per approdare in quella della zia acquisita, e la tensione è palpabile sin da subito. È l’estraneo che invade un nido chiuso, cercando nuovo rifugio, senza accorgersi che nemmeno lì le cose vanno poi tanto bene.

Ma poi, e soprattutto, il vero punto è un altro, e cioè che la zia suddetta, di mestiere nutrizionista, è impazzita. E perché è impazzita? Perché ha interpretato il suo lavoro, e, ancora peggio, l’oggetto del suo lavoro, come se fosse la cosa più importante (non solo per lei, ma per il mondo intero). È rovinosamente uscita dal principio fondamentale, e cioè che noi, e ciò che noi facciamo, non siamo metafora del mondo, bensì sua sineddoche. Una particella, importantissima, ma pur sempre pulviscolo. Claudia insomma ha misinterpretato se stessa e il suo ruolo. Ha sussunto l’idea che oltre l’alimentazione sana niente, e dell’alimentazione è divenuta una nazista. Ha dato per assodato che insegnare a ben mangiare significa insegnare a ben vivere. E che quindi lei non è una nutrizionista, bensì una maestra di vita. Claudia dunque, convinta di aver trovato la verità (guarda un po’, peraltro, proprio in vecchie e non chiare fonti ataviche), è pronta a imporla.

Guardi Family Dinner e non possono non venirti in mente le orde di maestri di vita funzionali all’attuale mediasfera. Nel ramo dell’alimentazione, poi, siamo in guerra aperta, fra chi promulga le più suicidarie delle tendenze (non solo il celeberrimo e distante mukbang, ma anche fenomeni tutti nostrani che spacciano come occasioni aperitivi all you can eat a prezzi stracciati), e chi invece si e ci ossessiona con forme inquinanti (anzitutto per la psiche, individuale e collettiva) di vigoressia. Il fitness è il lato oscuro del benessere fisico, come la mindfulness lo è di quello psichico.

Ne conseguono, a mio avviso, due cose. Che se Claudia si fosse montata meno la testa forse Filipp sarebbe ancora fra noi (ma la testa non se l’è montata da sola; la sua presunzione folle è niente più che il frutto di un sistema che induce tutti noi a pensarci e volerci più di quel che siamo). E che un apparentemente piccolo film come Family Dinner, dietro le spoglie dell’operetta, coglie invece sottilmente un punto cruciale. Quale? Che se per amare noi stessi dobbiamo divorare gli altri, come tutto oggi sembra suggerirci, allora c’è un bel problema. Homo homini lupus, diceva quello lì.

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