La categoria del “boomer” è oramai assorbita dal linguaggio comune, e chiaramente ha smesso del tutto di identificare uno specifico anagrafico. Oggi il boomer è chi, per formazione o per vocazione, indulge in un pensiero non contemporaneo, non up-to-date, e di conseguenza (ma siamo sicuri sia sempre così?) reazionario. L’accusa di non essere al passo coi tempi, come quelli che un tempo erano i “matusa”, viene giocoforza dai giovani e giovanissimi. Loro al contrario maneggiano i nuovi linguaggi del mondo e ne incarnano le ideologie meno retrive. I giovani sono gli ultimi dei giusti.
Se così fosse, sarebbe bello. Al contrario però noto che, al di là delle etichette, la situazione è un po’ più torbida. Da un lato l’antiquato pensiero novecentesco inizia a sembrare sempre di più un’oasi del pensiero illuminato rispetto al vuoto pneumatico che regna sovrano nell’odierno. Tanto che nei media è tutto un minestrone nostalgico, di una nostalgia strategica, ad hoc (canta Gabry Ponte nel 2016 Che ne sanno i 2000, e proprio “i 2000” eleggono a inno il motivetto). Dall’altro non mi è chiaro (o meglio, mi è chiarissimo, e va da sé piuttosto inquietante) come quella generazione che ci aveva promesso di spazzare via senza fare prigionieri le aberrazioni predigitali abbia invece lavorato alacremente per recuperare quelle poche che si erano finalmente auto-espulse.
Il caso di Fabrizio Corona è in questo senso esemplare. Mettendo da parte lo specifico giudiziario, sforzandomi anche di evitare l’abisso morale che il personaggio in questione rappresenta, mi era parso qualche anno fa che ci fossimo levati di torno – sempre troppo tardi – l’abietto figuro. Troppo televisivo, decisamente troppo legato a un modo di fare comunicazione rinnegato da twitcher, tiktoker, e content creator di sorta, non aveva più nulla da dire (se mai ne aveva avuto). Poi però rieccolo (convinto peraltro che sia per suo merito) colonizzare l’agenda. Rieccolo, come la recidiva di una fistola sacrococcigea, in diretta su quelle piattaforme che avevano costruito la loro retorica in quanto avamposti di una dimensione fieramente altra rispetto al pattume dei media tradizionali. Invitato a partecipare alla pantomima neotelevisiva, proprio da chi ci ha illusi che la televisione fosse per fortuna morta. Da chi “Niente più gossip d’accatto da queste parti! Arrivano gli sceriffi dell’ontologia mediale! Noi siamo i giovani, l’esercito del surf!”.
Chiaro che generalizzare è, per metodo, sempre sbagliato, e chiaro dunque che la colpa non sia dei “giovani”, così come mai lo è nemmeno dei “vecchi”. Ma allora di chi? Del tanto fuori moda “sistema”? Dove sono finiti i Fuck the System che un tempo urlavano a squarciagola quelli che oggi sono dei boomer?
Fabrizio Corona è un prestidigitatore di basso livello. Un illusionista al contrario. Quando assisti a uno spettacolo di magia vedi l’effetto, che viene bene se non noti il trucco. Nel caso di Corona invece vedi il trucco sin da subito, è l’effetto che manca. E non è come osservare – cosa di certo interesse – com’è costruita la cassa in cui la donna viene segata in due. Lì c’è quantomeno un meccanismo, un ordigno, una forma cristallizzata di pensiero, pronta ad agire se ben attivata. Quello di Corona è invece un trucco senza meccanismo. Non ha nemmeno la dignità del tic.
Per questo mi stupisce che i coloni delle neo-piattaforme, che avevano la libertà e la responsabilità di forgiarne temi e linguaggi, e che si pensano così emancipati da saper vedere gli schemi dietro la comunicazione dei boomer, siano caduti anch’essi nella trappola per orsi. Non volendo offendere né gli orsi, né le trappole, non è Corona né gli uni né le altre. La trappola per orsi è la pigrizia da un lato, che se non governata dà spazio a certi gelatinosi ammassi di nulla (lo scrivo volontariamente nella settimana di quello spettacolo osceno che è Sanremo), e il miraggio di un profitto immediato dall’altro. Peccato e veniale e venale.
E se per Corona (il cui nome mai più leggerete in queste pagine) basta sedersi sulla riva del fiume e aspettare, per ciò che egli rappresenta invece le cose si fanno più difficili. Se questa è la risposta al boomerismo, allora mi sento definitivamente tradito.

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