Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

It’s What’s Inside – Il puzzle movie nell’era degli zoomer

Su un film contemporaneo, visto su Netflix, che mi ha lasciato interdetto, e che mi ha ricordato per motivi curiosi i calendari con i cani che fanno la cacca.

Il catalogo di Netflix ogni tanto mi frega ancora. Ho provato quindi a farmi coinvolgere da questo It’s What’s Inside, di questo tale Greg Jardin, del 2024. Ci ho capito francamente poco. O meglio, ho capito più o meno tutto, senza dargli il beneficio del mio sforzo cognitivo.

La trama: un gruppo di giovanotti si incontrano a casa di un loro amico ricco la sera prima del matrimonio di quest’ultimo con un’altra di loro. È una specie di festa dei ricordi, hanno passato tante cose assieme in passato, al college, e ora molte delle loro vite hanno preso direzioni diverse. Si presenta dunque Forbes, il genialoide della situazione, con uno strano marchingegno in una valigia. Questo consente, in maniera indolore, di scambiarsi i corpi a vicenda (cioè di permutare le proprie coscienze). Così parte il gioco. In un paio d’ore è tutto un disastro: qualcuno muore, altri scopano, ci si rovina la vita a vicenda in seguito alla emersione ex abrupto di tutti gli altarini. Tipo Perfetti sconosciuti, immagino (non l’ho visto), ma con l’espediente fantascientifico. Alla fine alcuni rimangono “scambiati”, altri tornano nel loro corpo d’origine.

Mi sembra corretto catalogare il film, che mescola o vorrebbe mescolare thriller, suspense, erotismo e quella roba là, fra i cosiddetti Puzzle Film (la bella locuzione rimanda a un testo di Warren Buckland del 2009). Film cioè in cui una parte del divertimento sta nel provare a districare un groviglio diegetico il quale è tale per un misto di montaggio e di tema narrativo, solitamente ancorato al presupposto fantascientifico. Quando dici Puzzle Film molti pensano a Inception, ma chiaramente sotto la punta dell’iceberg – per indulgere in una metafora particolarmente in voga online (gli iceberg che classificano i film) – c’è molto altro sotto, di assai più interessante (pensiamo, tanto per fare un paio di esempi, al cult Primer, Shane Carruth 2004, o all’intrapsichico Possible Worlds, Robert Lepage 2000).

Nel caso di It’s What’s Inside c’è però un attrito insopportabile. Il Puzzle Film quando si esaurisce nel gioco ricostruttivo diventa irrimediabilmente sterile. A quel punto meglio fare un gioco da tavolo. In buona sostanza, le vicende personali messe in scena nel film sono tutte superficiali e superficialmente trattate (a partire dall’incipit che vorrebbe proporre un qualche tipo di critica alla società dei social media). E l’intrico diviene tale da essere repulsivo, proprio perché manca ogni tipo di vero aggancio empatico. Non te ne frega nulla di quello che succede ai protagonisti, di chi finirà dove, e compagnia bella.

Però, dicevo all’inizio, ci ho capito francamente poco. Lascio una porta aperta a una ulteriore visione (che certamente faranno altri e non io), perché un po’ mi ha comunque straniato l’attitudine arty di alcuni elementi (le grafiche dei credits, la scelta del setting, lo schematismo quasi volontario di alcune situazioni). Forse, insomma, ho capito male tutto io. Ma se ho capito bene, allora non ci siamo molto. Da un puzzle infatti mi aspetto che una volta composta l’immagine questa sia kitsch, ma almeno gradevole, capace di cogliere i miei guilty pleasure estetici. Se è proprio brutta, allora merita al più di essere messa a caro prezzo su Amazon, come regalo simpatico da fare agli amici quando non si hanno altre idee (tipo il calendario dei cani che fanno la cacca, per intenderci).

Ultima notazione riguarda il tipo di generazione che è rappresentata in questo film, che a rigor di logica dovrebbe contemperare i cosiddetti “zoomer” (il film è del 2024, loro stanno sulla ventina, mi pare, quindi saranno nati dopo il 2000). Perché alla fine, quel che emerge, è che sono tutti o perfidi, o “imperfiditi”. E che anziché godersi quel magico dono che è la macchina di Forbes, che consente anche e giustamente di esplorare alcune morbose curiosità (abitare temporaneamente il corpo di un altro), ci mettono veramente poco a degenerare. Forse che il film ci voglia insegnare che non si scherza con la fenomenologia, e che quella domanda che apre al volume di Thomas Nagel, Cosa si prova a essere un pipistrello? (1974), è bene che rimanga aperta?

Oppure Greg Jardin vuole causticamente rappresentare il tramonto morale della contemporaneità? Se è così, allora mi viene in mente quello che era un gran film, per davvero, piccolino ma grande. Non un puzzle in termini di montaggio, ma sicuramente in termini di decostruzione della psiche (maschile): Nella società degli uomini (Neil LaBute 1997). Se dovete scegliere, allora a mio avviso scegliete questo.

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