Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Il problema dei vegani è che sono troppo avanti

Confessioni di un vegano non praticante.

Fino a qualche anno fa la polarizzazione fra vegani (e vegetariani) e gli altri (carnisti? onnivori? mangiacadaveri?) era all’ordine del giorno. I media impazzavano di “dibattiti” (quasi sempre parodie di dibattiti) e sparate varie in cui reciprocamente ci si accusava di essere dei mostri. Niente di più funzionale a un sistema populistico i cui carburanti principali sono il conflitto e la banalizzazione.

Oggi la situazione sembra essersi un po’ appianata, e inizia a emergere con più lucidità il nucleo sotto la crosta del litigio. E cioè che mi sembra ovvio che i vegani abbiano tutta la ragione, e che ci voglia un enorme sforzo filosofico per sostenere il contrario. Proviamo a fare un ragionamento fondato su un principio di economia, di brevitas. Dire che mangiare gli animali è giusto significa poggiare, per forza, su qualche assioma, sul presupposto di una qualche apodissi, su una presa di posizione stolida. Chiaramente su una eccezione drastica rispetto al nostro modo di concepire il diritto come apparato che serve, anzitutto, a ridurre il dolore nostro e altrui. Seguitemi un secondo: gli animali sentono, soffrono? Si può vivere senza mangiarli? E allora di cosa stiamo parlando ancora? Quanto sforzo filosofico è necessario per costruire una teoria che renda lecito cibarsene? Quanti ma, quante eccezioni bisogna contemperare per dare una parvenza di ragionevolezza al discorso? Il fatto è che fra la ragione e la pancia c’è un abisso gastroenterico (e che “ragionare di pancia” è una assurdità idiomatica, a meno di non voler seguire la via – interessante – di Miguel Ángel Almodóvar; cfr. Intestino, secondo cervello, 2021).

Gli animali spesso sono tanto buoni quanto soffrono. E ogni vita per essere tale tollera una soglia di ipocrisia, consustanziale all’esistere stesso. Per quanto ci sforziamo, tutti noi dobbiamo in certi momenti, semplicemente e su qualche fronte, cedere, almeno un po’. Io, ad esempio, non sono né vegetariano né vegano (lo sono, con una battuta ipocrita, in quanto “non praticante”), ma sposo in toto la causa. Mi sembra – come dire – la più razionale delle alternative, e mi stupisce un po’ che in un contesto (quello di un’Europa ancora, chissà per quanto, “illuminata”), che quotidianamente si riempie la bocca di sensibilità verso la qualunque, la questione degli animali sia trattata invece come specimen a parte. Il tema dell’identità, il rispetto carezzevole per le altrui soggettività, la leziosa retorica dei pronomi si schiantano di fronte a un pollo (il cibo dietetico per antonomasia)? Non ce l’ha il pollo una soggettività?

Parliamoci chiaro: mangiare gli animali è una scelta maggioritaria (e io faccio parte della schiera) ma non per questo quella giusta. Anzi, con uno sforzo davvero minimo appare evidente che un mondo a un grado di civiltà maggiore rispetto al nostro sia “naturalmente” vegano. Il problema dei vegani – quando non siano una massa di antipatici boriosi – è che sono semplicemente troppo avanti. E che a stargli dietro molti di noi non ce la fanno, e quindi li invidiamo (e il sogno migliore sarebbe quello di poterli cogliere in fallo per trascinarli di nuovo al nostro livello). 

Qualche anno fa ho pubblicato un saggio che riprendeva un vecchio scherzo goliardico fatto da alcuni guasconi della Iowa State University. Avevano pubblicizzato una serie di visori tipo Oculus Rift adatti per le galline. Questi simulavano grandi prati verdi, e le galline così potevano essere allevate in batteria, convinte di essere libere. Psicosomaticamente la loro carne sarebbe stata più buona, e peraltro sarebbe stato un problema interessante capire cosa scrivere sull’etichetta… allevato all’aperto virtuale? Notizie simili sono arrivate anche qualche anno fa, con delle immagini di mucche con il visore in una fattoria russa. Immagini probabilmente false, ma che perseverano nella perpetrazione di un sogno à la Matrix.

Ma chissà, fra qualche decina di migliaia di anni potremo avere mucche o polli senzienti. Fra questi ci sarà un gallo filosofo, Cock Bostrom, che scriverà un paper destinato a diventare virale nelle accademie di tutto il mondo: Are you chicchirichì-living in a computer simulation? Solo che lui avrà ragione.

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