Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Level Five – Sulla memoria incorruttibile (eppure corrotta)

Su un film bellissimo e ignorato.

Chris Marker non è stato soltanto un regista, e anzi chiamarlo regista è “riduttivo”. Intellettuale a tutto tondo, pensatore moderno, francese nel senso nobile della Nouvelle Vague, Marker ha contribuito, con il suo pensiero, a innervare una serie di riflessioni che hanno attraversato una generazione di autori novecenteschi di grande livello: da Barthes a Baudrillard, da Deleuze a De Certeau.

Di Marker il cliché vuole che si citi La Jetée, straordinario cortometraggio del 1962, “girato” attraverso un montaggio di sole fotografie, che ha bucato l’immaginario e ci è giunto attraverso la “traduzione pop” di Terry Gylliam del 1995: L’esercito delle 12 scimmie. La Jetée è un’opera fondamentale, ma il suo peso ha soffocato il grande lavoro cinematografico fatto da Marker, che non si esaurisce certamente lì. Un lavoro che si esprime in una farragine ingovernabile di piccoli e grandi film, molti dei quali peraltro visionabili gratuitamente online.

Fra questi spicca Level Five, meta-documentario del 1997 in cui la protagonista, Laura, confessa alla cinepresa la sua lunga discesa nella follia. È ossessionata da un videogioco, ultimo lascito di un compagno scomparso, che riproduce la folle tragedia di Okinawa, uno degli ultimi atroci atti della seconda guerra mondiale che è culminato nel suicidio di massa di 150.000 giapponesi. Laura vorrebbe modificare il videogioco, e così il corso della Storia, ma l’operazione è impossibile. Il computer non collabora, le è refrattario. Lei vorrebbe cancellare, rimuovere, agire su una rimozione collettiva per consumare il proprio lutto personale, ma semplicemente non può.

Level Five non è un film semplice. Sembra, a uno sguardo disattento, un’accozzaglia mal disposta di suggestioni. Se così fosse, non sarebbe comunque poco. C’è in Marker anche una richiesta di abbandono al linguaggio, di abdicazione alla comprensione immediata e lineare. Ma in realtà il film appare invece coerente e crudele nel presentarci il conto, come umanità, delle nostre aberranti follie. Visto oggi, a quasi trent’anni di distanza, il film assume inoltre un sapore piacevolmente retrò. Attenzione: non se ne apprezzano certo le ingenuità, perché il film sembra non averne. Piuttosto se ne gustano le immagini, all’epoca futuristiche, oggi invece relegate a un passato tecnico e visivo che abbiamo perso (e che molto ci manca), sebbene i suoi spettri continuino a convocarci. A chiederci che rapporto abbiamo noi con la nostra memoria, individuale, collettiva, e storica. Come ci sentiamo quando qualcuno fa il lavoro sporco per noi, mettendoci di fronte al nostro colpevole oblio. Cosa proviamo di fronte alle immagini di quelle grotte, disperse in meravigliose isole giapponesi, ove giovani ragazze e ragazzi veniva bruciati con i lanciafamme in mezzo a cadaveri mutilati e corpi straziati.

In un panorama a volte desolante, in cui la nozione di documentario è spesso associata a piatte produzioni da piattaforma, il film di Marker – disponibile in sub-en sull’Internet Archive (clicca e guarda) – è una pietra preziosa, che aspetta solo di essere vista e studiata.

Soprattutto, il film è di una lancinante attualità perché in qualche modo il suo riferirsi alla memoria del passato si tramuta oggi in una paradossale memoria del futuro. Parla di noi, parla di Okinawa come preludio alla Bomba, come qualcosa che pulsa ma che è assurdo pensare in quanto possibilità concreta di ripresentarsi. Siamo nel 1997, sul solco del nuovo millennio, alla fine del secolo eccellente, di massimo sviluppo dell’umanità. E oggi, nel 2025, viene da chiedersi se abbiamo lambito quel quinto livello che Laura non riesce a raggiungere.

Consiglio in più: cercare su YouTube “Chris Marker” e perdersi nel suo “pedinamento del reale”, fra gatti che ascoltano la musica e immagini di una eclissi vista attraverso gli occhi di persone qualunque, che guardano in alto, in attesa che l’universo si annerisca per loro.

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