Mi è capitato qualche giorno fa di vedere un video che pubblicizzava dei bunker. Cito non testualmente, a memoria: “Consegna rapida in tutta Italia, super-personalizzabili. Forse è il momento!”. I bunker sono interessanti, ti fanno subito venire in mente Fallout (popolare serie videoludica prima e televisiva poi), se vuoi divertirti, o The Road (romanzo prima e film poi), se vuoi sentirti male. Al di là degli aspetti di design, che trovo comunque rilevanti (in che senso è “super-personalizzabile” un bunker? Carta da parati? Posti letto? Filtri dell’aria?), naturalmente a colpirmi maggiormente è stato il claim: Forse è il momento! Così ammiccante e pubblicitario, così anni del Boom. La lavasciuga dei tuoi sogni, fatti un regalo, forse è il momento! Solo che, ahinoi, basta proprio un attimo per capire che non è lo stesso momento, quello a cui si riferiva con inquietante leggerezza il tizio del video, e che anche in questo caso di Boom si tratta, ma questa volta l’onomatopea ha un sapore più letterale.
Se non ci fosse da piangere, ci sarebbe da ridere. Dovremmo forse fare caso a questo tipo di “contenuti”, e al modo in cui sono diluiti nella nostra dieta mediale quotidiana. Il video era, ça va sans dire, perfettamente incorporato nel doomscrolling di TikTok. Compariva fra un gatto che miagola e la ricetta dei pancakes. A differenza dei suoi contigui, tuttavia, aveva due caratteristiche: 1. Era un video commerciale, inteso a sponsorizzare un’azienda; 2. Dava per buona la necessità impellente di dotarsi di un bunker, per proteggersi dall’imminente devastazione. Il fatto che il punto 1 e il punto 2 siano connessi non è cosa da poco, il fatto che il video circoli tranquillamente in una piattaforma generalista nemmeno. Il fatto, poi, che questo video come centinaia di migliaia di altri stimoli ci investano quotidianamente normalizzando una situazione che dovrebbe invece gettarci tutti in uno stato di terrore, è gravissimo.
È grave perché, al di là del realismo o meno della minaccia che il video sottintende per vendere i bunker, fa parte di una più generale strategia anestesiologica, che appiattisce tutto a pura attrazione, e che promette – surrettiziamente – una “risoluzione” solo attraverso gli strumenti del mercato. C’è il rischio che una bomba ti caschi sulla testa? E che problema è! Comprati un bunker! Ma quanto costa, effettivamente, un bunker? Provando a cercare online le risposte sono molto variabili. Un articolo a firma Matteo Castagnoli di un paio di anni fa, sul Corriere, riferisce di una stima di circa 300 bunker tra Milano, Crema, Pavia e Lodi, e di un costo fra i 4 e i 6mila euro a metro quadro se il bunker viene costruito in una abitazione già edificata. Un bunker di un metro quadro è una bara (e già costerebbe più di una bara, il cui valore medio è intorno ai 2000 euro). Quindi bisogna immaginare una metratura che possa garantire una vivibilità per un certo numero di anni, se non di decenni. Insomma, spannometricamente, i bunker sono cosa per ricchi e molto ricchi. I quali poi, peraltro, se arrivasse il favoloso momento (Questo è il momento!), dovrebbero comunque imparare a convivere fra di loro senza ammazzarsi, mangiando scatolame e guardando vecchi dvd di Friends, come accade ne Il mondo dietro di te (Sam Esmail 2023).
Fortunatamente quel video durava pochi secondi, giusto il tempo di un momento, appunto, e poi qualcos’altro è arrivato a distrarmi. Cosa fosse, non lo so. Quel video ha comunque avuto la capacità di rimanermi impresso. E se mai dovesse servirmi un bunker, almeno saprò a chi rivolgermi. Intanto torno a Take Shelter (Jeff Nichols 2011), in cui un uomo in completa paranoia si indebita per costruirsi un rifugio sotterraneo, distruggendo progressivamente il rapporto con i suoi cari. Oggi quella paranoia non esiste più, perché tutto e indistintamente è derubricato a 30 secondi su TikTok. Il tempo di uno scroll. Il tempo di un momento. Questo.

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