Dietro il front desk della Biblioteca civica Centrale di Torino – luogo meritorio, ottimamente fornito, e che frequento sempre con piacere – campeggia un cartello che reca scritto: Dalla cultura delle armi, alle armi della cultura.
Non mi sfugge la ratio (peraltro forse vagamente paternalistica) che soggiace al chiasmo, ma credo che la biblioteca debba disfarsi dell’insegna il prima possibile. La cultura, invero, è stata in anni recenti progressivamente “armata”. Anche in modi sibillini. Molti sedicenti intellettuali online parlano della cultura come un’arma, da usare alla bisogna, e per quanto mi sforzi non riesco a trovare una singola valenza per cui la metafora mi possa apparire accettabile. Quand’anche la si intenda come “arma a scopo difensivo” (quando poi la si adopera spesso, invece, con fare da prepotenti), allora esiste una pletora di altre possibilità per semantizzare la questione.
Peraltro durante la pandemia c’è stato un lungo dibattere rispetto alla metafora della guerra, con cui in molti avevano deciso di interpretare il Covid e i suoi effetti psicosociali. Non mi pare invece di avere udito alcun urlo indignato di questi tempi, rispetto all’incedere capillare di un’associazione fra scenario bellico-armato e “mondo culturale”.
La cultura è strumento, possibilità, rifugio e un sacco di altre cose belle e retoriche, ma se proprio dobbiamo indulgere nel retorizzarla allora almeno disarmiamola. I cultori della cultura sono spesso persone abiette, che ne fanno un uso deprecabile, di cui la boria è solo l’inizio. Molti ideologi di dittatori, vivi e morti, sono stati e sono persone fattualmente di cultura, e di questa si sono asserviti per giustificare le peggiori nefandezze. Quindi no, eviterei di continuare a perpetrare l’idea di una possibile e giustificabile associazione fra armi e cultura.
Purtroppo, ne va del chiasmo, ma magari si può trovare comunque una soluzione vagamente catchy (ammesso che quella attualmente esposta lo sia). Ad esempio: Dalla cultura delle armi, alla cultura del disarmo. Si mantiene un sistema di consonanza, si converte la fattispecie chiastica in una anaforica – comunque altrettanto seducente – si sovverte il messaggio di fondo.
Il mondo, Europa compresa, ha ormai definitivamente legittimato l’armamento a ogni piè sospinto. Oggi anche la pacifica Unione Europea ha pacificamente dato per buono che armarsi sia una necessità, da promuovere per il bene… un proiettile in fondo non ha mai ammazzato nessuno, no? E questa legittimazione prima di essere effettiva sul piano politico è stata lungamente preparata su quello simbolico. A continuare a dire “armi” si finisce come con la classica profezia che si autoavvera. Quindi proporrei umilmente uno smantellamento, che passi anzitutto dal piano discorsivo; si usi la triste parola quando è il triste caso, e la si lasci lì altrimenti, marcescente, specie in quei luoghi in cui le parole vengono custodite e al contempo fatte circolare.

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