Ho provato recentemente a intrufolarmi nelle chat di alcuni grossi influencer su Twitch, diversi dei quali trovo anche simpatici. Da uno di questi – ovviamente non farò il nome – ho provato ad aprire un dibattito su un tema che mi pare centrale: una certa epidemia di ordine depressivo che – in maniera puramente impressionistica – mi pare di saggiare oggigiorno. Collegavo le mie riflessioni al tema della revenge bedtime procrastination, essendo tarda notte. E, in realtà, le mie considerazioni poggiavano su qualcosa di più che non l’esclusivo termometro della mia sensibilità. Fior fiore di studiosi hanno descritto la contemporaneità come una società stanca o psicologicamente schiacciata. E, d’altro canto, la stessa cronaca sembra corroborare l’ipotesi di un malessere diffuso. Vero, dunque, che la parola “depressione” vada usata con cautela, ma anche in un certo senso mi pare che il suo utilizzo in termini più “estesi” sia oggi in un certo senso “accettabile”, in virtù del tipo di discorso che se ne intende fare.
Bene, sono stato mangiato vivo. Accusato, dallo streamer stesso, vieppiù con tono e parole insultanti (la cosa non mi infastidisce, fa parte dell’istrionismo del contesto), di stare indulgendo in un utilizzo rischiosamente libertino del termine, potenzialmente acuendo l’ipocondria di alcuni altri utenti. Naturalmente mi sono interrogato se ciò fosse vero, se non fosse abusiva la mia terminologia, ma anche mi ha colpito la dinamica della situazione.
In prima istanza, le mie considerazioni sono state prima lette ad alta voce, e poi rapidamente e violentemente cassate. In secondo luogo, i miei tentativi di “provare a spiegare e spiegarmi meglio” sono stati ignorati o castrati. In sostanza, ho percepito una situazione di totale mancanza di controllo, che mi ha confermato quanto sospettavo: la disintermediazione online, anche in contesti come quelli delle dirette, è un puro effetto retorico. Rimane dominante una asimmetria di potere comunicativo, sostanzialmente invalicabile. Così come, pur quando chi gestisce il potere comunicativo si dimostri idealmente aperto a potenziali discussioni, resta una sorta di tappeto di fondo molto difficile da sollevare: il pensiero online è spesso (non voglio generalizzare) ombelicale e semplificatorio. E se ho sbagliato io il contesto, mi viene da chiedermi allora quale sia oggi il contesto, visto che parliamo di gente che sta online, in diretta davanti a migliaia di persone, molte ore del giorno (e della notte).
La cosa è dunque problematica nel momento in cui lo spazio online diviene l’unico spazio entro il quale molta utenza si confronta con certi tipi di tematiche. Più in generale, mi sembra di poter individuare due ordini di problemi: il primo riguarda le istanze di moderazione (cioè i cosiddetti moderatori), che nelle chat operano in maniera piuttosto severa, investiti di una necessaria autorità, i quali però da un altro lato nel mio caso divengono ad esempio limitanti (non perché io non voglia rispettare gli interlocutori, ma perché è prerogativa di ogni buon pensiero quella di essere fraintendibile, e di necessitare di tempo e argomentazioni per essere estrinsecato). Il secondo invece riguarda fonti e temi che i detentori del potere comunicativo online usano a supporto dei loro discorsi. Perché quasi sempre, mi pare, i loro riferimenti, e i loro temi di interesse, sono nuovamente online, così portando a una sorta di baratro gnoseologico che esiste per confermare se stesso, e dal quale molto difficilmente potrà germinare pensiero autenticamente nuovo, autenticamente altro. Lo spazio del pensiero online è, molto spesso, un uroboro. Su internet si parla di internet, e si usano informazioni trovate su internet, e le si confermano o smentiscono con argomenti sviluppati su internet. Così si produce una sorta di cerchio, da cui in effetti è molto difficile immaginare uno sviluppo laterale: stessi volti, stessi temi, stessi toni.
La morale a fondo storia è un dispositivo, per sua natura, moralistico, e quindi la evito. Dirò soltanto che non è boomeristico oggi immaginare come necessaria una scorporazione dal mondo online quando si tratta di elaborare pensiero complesso e quindi, anche, potenzialmente e significativamente scomodo.

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