Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Miyazaki dà, Miyazaki toglie

Non è Totoro ciò che luccica.

Il disgusto di Hayao Miyazaki nei confronti delle immagini prodotte con intelligenze artificiali è qualcosa di cui bisognerà tenere conto, oppure no. Quello che Miyazaki vuole esprimere mi sembra abbastanza chiaro: c’è qualcosa in queste immagini, che nelle ultime settimane hanno spopolato, di inquietante. Non per come appaiono, poiché sono in buona parte dei casi di fatto ottime, ma perché manca loro – nella prospettiva miyazakiana – una anima. Ma le immagini hanno un’anima, dunque? Io ho il sospetto che non ce l’abbiano nemmeno gli umani, figurarsi delle linee e macchie di colore su una superficie.

Il punto di Miyazaki quindi è secondo me sfocato, ma posso capirlo. Un uomo dedica l’intera vita a fondare un’estetica, che è anche una retorica (quella di un lavoro indefesso, manuale, ancorato a un arcaismo produttivo di fondo), e poi nemmeno più una macchina bensì un algoritmo, una formula, se ne “appropria” senza nemmeno dire grazie. La questione tanto à la page della appropriazione culturale non viene usualmente trattata in questi termini, ma mi sembra che ci stiamo perfettamente dentro.

D’altro canto Miyazaki stesso dovrebbe forse porsi alcuni quesiti di ordine più astratto: perché oggi (domani chissà) è la “sua” estetica a essere diventata oggetto di una tale quantità di riproposizioni algoritmiche, tanto da mandare in tilt i server di OpenAI? Perché non qualcun altro? E qui veniamo a uno dei due elementi sensibili: l’aggraziatissima e nobilissima estetica di Miyazaki è, da oltre 30 anni, oggetto di un abuso, che l’attuale affaire ChatGPT si limita a rendere visibilmente concreto, ma che già sottotraccia era ben solido. Si dice “contraltare”: l’altare eretto dirimpetto a un altro. Molta fama, molte possibilità di utilizzo fastidioso della propria immagine od opera da parte di malintenzionati.

Quando vieni eletto a emblema, a rappresentante definitivo di una cultura di riferimento; quando diventi “autocrate” simbolico dell’animazione giapponese (se non dell’animazione tout court), metro di paragone, maestro indiscusso; quando l’uscita di un tuo nuovo film riscrive, ogni volta, lo stato dell’arte; quando ogni cameretta ha un poster con una “tua” immagine, e a te sono dedicate centinaia di voci critiche; beh, allora dietro quella fama non può che celarsi un annacquamento delle tue qualità, una popolarizzazione, una facile ossessione collettiva. Poi arriva ChatGPT, e il gioco è fatto.

Il secondo elemento, quello che secondo me riabilita l’istanza disgustata di Miyazaki, riguarda invece il diritto. ChatGPT, volenti o nolenti, fa delle ottime immagini miyazakiane. Non sono immagini pressappochiste. Vi si vedono certi dettagli plastici che sono gli stessi che hanno contribuito a rendere l’autore un nume tutelare. Questi dettagli non riguardano solo i soggetti, ma il modo di “tradurre” la dialettica fra personaggio (umano o animale) e ambiente, che in Miyazaki è straordinaria per via delle sue capacità evocative. Purtroppo – o per fortuna – ChatGPT sembra avere colto questo punto dell’estetica miyazakiana, e ciò ovviamente al Maestro farà male, perché se una formula ghermisce il tuo mistero allora un po’ lo vanifica. Ma nessuno di noi può dirsi salvo. Come vale per Miyazaki oggi, varrà per chiunque altro presto.

E allora bisognerebbe seriamente iniziare a pensare ai nostri diritti, specie se lavoriamo in un ambito creativo, e al fatto che servirà (ma serve già oggi e serviva già ieri) un serio dibattito su come continuare a mantenerli (ammesso che ne abbiamo), nello scenario di una conversione programmatica di ciò che ci viene e ci verrà richiesto per contrastare la nostra stessa obsolescenza.

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