Il conturbante sorriso della Gioconda di Leonardo, i fascinosi occhiali da sole di Tom Cruise nella famosa scena del balletto di Risky Business (Paul Brickman 1983), il monocolo dell’elegante mascotte del tradizionale gioco da tavolo Monopoly, condividono più di un tratto. Sono, anzitutto, parti di tre testi appartenenti a diverse sostanze dell’espressione (pittura, cinema, immagine fumettistica), ma ugualmente iconici. Hanno a che fare tutti con il volto. E, soprattutto, la loro iconicità si fonda su un travisamento collettivo. La Monna Lisa, come è noto, non sorride (è nell’enigma della sua espressione la radice del suo successo). Tom Cruise non ha mai indossato gli occhiali da sole in quella scena, sebbene in buona parte delle citazioni ex post invece questi occhiali compaiano (Scrubs, The Simpsons, Alf, tanto per fare degli esempi). E quel celebre monocolo Uncle Pennybags, l’omino del Monopoly,non lo ha mai posseduto (eppure eccolo comparire nel “monopoly guy” di Ace Ventura: When Nature Calls, Steve Oedekerk 1995, e tutti in fondo “ce lo ricordiamo così”).
Si tratta di casi significativi di quello che nella cultura di internet è stato battezzato come “Mandela Effect”, a partire dal caso scatenante: molte persone nel mondo sembrano ricordare con chiarezza i funerali del leader sudafricano tra la fine degli anni ‘80 e ‘90, sebbene in effetti sia morto nel Dicembre 2013 (è probabile che venga sovrapposta nella memoria collettiva la fine della sua prigionia con una sua supposta prematura dipartita). Si tratta di fenomeni stimolanti di falsa memoria di gruppo, e ne esistono di molti tipi. Molti di questi, come quelli menzionati in precedenza, si fondano su particolari iconici, che per qualche motivo si diffondono veicolando dei falsi che prepotentemente diventano cultura, cioè memoria collettiva, nei termini di Jurij Lotman.
La ribalta di questo fenomeno è sancita da un film indipendente, Mandela Effect (David Guy Levy 2019), in cui i volti divengono oggetti fragili e scomponibili a partire da “glitch mnestici”. Il fenomeno online è stato naturalmente spiegato in molti modi, spesso adducendo a teorie pseudo- o fantascientifiche, come quella dei mondi alternativi che interferirebbero con il nostro, un po’ come si è fatto per il déjà vu (inevitabile in questo caso il lascito di Matrix). In ambito scientifico tuttavia, sebbene in sede psicologica ci siano numerosi studi dedicati ai falsi ricordi personali, è ancora scarsa la ricerca nel merito dei falsi ricordi socialmente condivisi.
Un conto, infatti, sono i nostri personali falsi ricordi, che rimandano a singoli vissuti, a ossessioni preminentemente individuali. Un altro sono invece ricordi condivisi da collettività, che si autoconvincono che le cose siano andate in un certo modo, quando poi non è vero. E dunque forse l’Effetto Mandela la racconta più lunga di quanto i giochini di internet lascino intendere. Ci dice che le culture prima ancora che ricordare immaginano, e nell’immaginare, a volte, ricordano male.

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