Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Terrifier è un bel film?

Spoiler: secondo me sì.

Ho partecipato qualche giorno fa alla prima (e chissà se destinata a rimanere unica) Terrifier Conference del mondo, all’università di Warwick. L’occasione mi è stata utile per pensare molto, forse troppo (penseranno alcuni), alla saga di Damien Leone, che negli ultimi anni ha conquistato a grandi falcate un crescente posto d’onore nell’immaginario horror. Così, ponendomi domande complesse, man mano sono tornato a una domanda apparentemente più semplice: ma quindi Terrifier è un bel film?

Con ordine e brevemente, anzitutto occorre specificare che oggi Terrifier non è più un film, ma un ecosistema complesso, composto da tre lungometraggi, più una sorta di lungometraggio-prequel che era All Hallow’s Eve, e ancora un cortometraggio precedente dal titolo The 9th Circle. E attorno a questa cinquina, che va ad espandersi, germina un rigoglioso e traboccante universo socialmediatico che è stato fondamentale per il successo del franchise (tema di cui mi sono più esplicitamente occupato, appunto, a Warwick).

Quando dunque mi chiedo se Terrifier sia un bel film mi pongo una questione contraddittoria ma stimolante. Come valutiamo noi le saghe, gli ecosistemi narrativi complessi e ramificati? Al di là di ciò, che è comunque materia interessante e che prima o poi svilupperò, procediamo per comodità nel ridurre il campo alla trilogia “principale”.

La risposta è che sì, Terrifier ha degli obiettivi pregi, i quali, in una logica algebrica di più e di meno (il famoso calcolo costo-beneficio), mi sembrano essere maggiori dei difetti. I difetti sono, ad esempio, il fatto che dal secondo capitolo in poi i film – in preda a una hybris tutta loro – diventano eccessivi in termini di durata. Molti hanno descritto Terrifier come una “challenge of endurance”, una prova di durata, ma mi pare che il problema più serio sia proprio nella sovreccedenza di minutaggio dal secondo capitolo in avanti, francamente poco giustificata e stancante. Al di là di ciò, la saga ha secondo me invece alcuni pregi enormi, che sintetizzo così:

  1. La presenza di un malvagio autenticamente tale, senza che vi sia il bisogno di dirci o di darci le ragioni del suo Male. Art il clown è un distillato di malvagità proprio perché agisce senza motivo, che non sia quello di perpetrare se stesso. E ciò, in un’era ossessionata dalla continuity, è oro colato. Vero, man mano che si va avanti alcune cose iniziano a prendere forma, e al personaggio viene appesa una backstory. Peccato, ma teniamoci per buona l’iniziale idea, assolutamente marcata, del Male come spinta propulsiva che giustifica se stessa.
  2. Il personaggio stesso è una ottima sintesi di molta della storia del cinema horror che lo ha preceduto, naturalmente settorializzata entro i confini dello slasher. Non è però in questo senso solo postmoderno, quanto piuttosto autenticamente e intelligentemente gestaltico. Art il clown è una tropologia incarnata, una costante interpellazione, e le sue vittime a loro volta passano molto del loro tempo a guardare vecchi film dell’orrore (una specie di perenne mise en abyme), prima di essere seviziati. C’è tutto un precipitato pregresso che orbita attorno a questa configurazione, che però Terrifier non si limita a scimmiottare, stancamente, come in tanto metacinema parodico, ma prova a elevare.
  3. La dimensione gore, quella per cui la saga è nota, è essenziale ma anche, di fatto, poco interessante (al di là del piacere visivo degli effetti pratici e della messinscena del sadismo crudele di Art). Tuttavia le va riconosciuta, in ogni caso, una dose di creatività che rimane, per chi gradisce, divertente.

Vale la pena dunque di guardare Terrifier? In realtà direi di nì. Bisogna, ritengo, essere allo stesso tempo interessati, alfabetizzati, aperti. Soddisfatta questa triade (che non è obbligatoria, mica l’ha prescritto il medico), allora potreste trovarci del buon godimento epidermico e cinefilo.

+

Lascia un commento