Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Professionisti che odiano i propri “assistiti”

Un po’ “Un giorno di ordinaria follia”, un po’ “Quel pomeriggio di un giorno da cani”, ma in entrambi i casi in una forma desolante…

Prima di fare il mestiere che faccio ora ho, come molti, vivacchiato con lavoretti occasionali. Ripetizioni, certo, ma anche facevo spesso gli inventari, di notte, in grandi centri commerciali. E mi piaceva pure: c’è una certa soddisfazione, se vanti (e non te ne vanti) come il sottoscritto un profilo psicologico ossessivo, nel contare migliaia di viti e di bulloni alle quattro del mattino in un desolante Brico sperduto fra le province di Torino. Mi è anche tuttavia capitato tante volte di fare il “promoter”, per vari marchi di elettronica, spesso nei settori televisori o fotocamere. Il mio compito era chiaro: convincere non solo la clientela a prediligere i marchi che rappresentavo, ma anche orientare i potenziali acquirenti a ritenere utili oggetti o servizi (come assicurazioni sugli oggetti stessi) i quali sapevo perfettamente che non gli servivano. Su questo, lo ricordo bene, in fase di formazione i tutor erano stati chiarissimi. Ci avevano convocati in un centro di Milano e istruiti con una massima autoevidente: “Non dovete mentire, questo è sbagliato; piuttosto aggirate la verità” (è passato più di un lustro, quindi la citazione non è letterale, ma questo è il senso, deplorevole, che mi è rimasto impresso).

È il mercato, bellezza, penserete, e quindi non andrò oltre. L’incipit però mi serve per raccontarvi quanto per davvero mi rivoltò.

Quando fai il promoter sei inserito in realtà nelle quali ci sono spesso persone che vi lavorano da anni. Tu sei una meteora, loro sono lì invece da tempo vitale significativo. Conoscono quelle corsie a memoria. Le percorrono con passo certo. Non solo maneggiano perfettamente le dinamiche interne, ma hanno contribuito a fondarle, spesso a propria immagine e somiglianza. I grandi vecchi del centro commerciale li riconosci, e li guardi con un certo timore riverenziale. Ebbene, più di una volta mi è capitato, cercando da queste persone quantomeno un po’ di “tirocinio”, per non trovarmi lì da solo, scaraventato a fermare i passanti come ancora oggi si fa (povere persone, costrette a questa forma di umiliazione, a dover passare intere giornate a vendere truffe per conto di operatori telefonici), dicevo mi è capitato di assistere a comportamenti – o più spesso atteggiamenti – vomitevoli. Che riassumo così: insultare i clienti, potenziali o finali, alle loro spalle. Costantemente, come se fosse una prassi. Qualcosa, se ci pensate, di più surrettizio del semplice volerli irretire con le proprie strategie di vendita. Ammettiamo pure che agire in modo da “orientare” la vendita sia in qualche modo parte del gioco (e, se mi conoscete, sapete che già la cosa mi infastidisce). Ma perché allora odiare queste persone, considerarle dei nemici, delle merde? Tanto più, ovviamente, se si permettevano di non comprare.

Oggi, molto tempo dopo, mi stupisce vedere come questo tipo di atteggiamento generalizzato sia diffuso in ambienti all’apparenza più “alti” ed elitari (con quale presunzione poi) di un centro commerciale. Mi è frequentissimo sentire o leggere di professionisti i quali, senza alcuna remora, se la prendono con colori i quali sarebbero i propri “assistiti”. Medici che danno segni di detestare i pazienti; impiegati comunali che appaiono “infastiditi” dal ricevere richieste pertinenti con la funzione che dovrebbero svolgere; insegnanti e docenti che sviluppano un cinismo specifico verso i propri studenti o le loro famiglie; e così via.

Ora, è chiaro che c’è un malessere generalizzato, che riguarda il periodo storico in cui abitiamo, foriero di una frustrazione difficile da maneggiare. Ma mi permetto di sostenere che, nonostante tutto, un atteggiamento del genere mi sembra, come dire, reazionario. Almeno quando diventa non eccezione (che si può anche immaginare, nel caso ad esempio dell’assistito scortese o maleducato) bensì prassi diffusa. Se te la prendi con chi è “sotto” di te, cioè con chi si rivolge a te perché di te ha bisogno, dovresti farti un serio esame di coscienza. La tua condizione frustrata e frustrante, checché tu possa sentirne (più che pensarne), non ti legittima a farlo. E la tua risposta dovrebbe rivolgersi verso l’alto, verso chi è responsabile, e non verso il basso, verso chi trascini nel tuo baratro (come se non avesse il proprio, personale, ad aspettarlo fuori dalla porta). Esiste una raffinata estetica del disprezzo, se hai letto Moravia o visto Godard, che non ha niente a che fare con tutto ciò.

C’è, insomma, un indirizzo sistemico che ci spinge a odiare ciò che facciamo. E quest’odio si riversa verso coloro i quali, di fatto, incolpevoli, hanno bisogno – incardinati nello stesso sistema – di noi. La cosa continua e continuerà a farmi tristezza (e anche non poca rabbia), e mi spingerà a ragionare nell’ottica opposta. Perdere la pazienza è un lusso che non va sprecato.

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