Nella primavera del 2014, a Waukesha (Wisconsin), due dodicenni hanno pugnalato per 19 volte una loro coetanea, riferendo quando interrogate che l’atto fosse in qualche modo indotto da Slender Man, personaggio fittizio nato da una “creepypasta” e divenuto prima mito online e poi prodotto audiovisivo (protagonista di cortometraggi, lungometraggi, e una miriade di contenuti fanmade). Verso la fine del 2021 molti siti di cronaca hanno riportato la notizia che, in varie parti del mondo, diversi bambini e adolescenti emulavano le prove di Squid Game (Dong-hyuk 2021), celebre serie televisiva Netflix in cui giochi archetipici dell’infanzia – si pensi a 1, 2, 3 stella – divengono pretesto per cruente sfide in cui palio c’è la vita. Nel dicembre 2022 in una scuola media di Cremona una classe, durante un’ora di supplenza, decide di visionare il film Terrifier (Leone 2016), generando naturalmente scandalo e preoccupazione, dato l’alto tasso di gore del film, sicuramente non indicato per spettatori in età pre-puberale.
Se nel mondo dei media notizie di questo tipo ingenerano immediatamente panico morale, da un punto di vista analitico esse sono invece fondamentali per comprendere il rapporto che si è configurato fra infanzia e universo audiovisivo nell’era post-cinematica. Slender Man, Squid Game e Terrifier infatti non vanno più intesi come oggetti isolati, relegati nelle proprie storie e nei propri media di origine, ma fenomeni fluidi, di flusso, riversati in media oggi frequentati largamente dall’infanzia e dall’adolescenza: YouTube, Twitch, TikTok. Henry Jenkins ha chiamato questo fenomeno, già diverso tempo fa, “convergenza mediale”. Forse potremmo anche parlare di convergenza culturale, nella quale si spappolano fasce anagrafiche, geografiche, politiche. Il caso di Terrifier, ad esempio, è successo in concomitanza di Halloween, periodo in cui il film, pur essendo uscito ben cinque anni prima, è andato virale tramite la diffusione di alcune clip su TikTok e, “di rimbalzo”, il buzz piuttosto vivace su YouTube mediante critiche, recensioni, reaction video e così via.
Ne consegue che l’esperienza stessa del cinema, tanto più per una generazione alfabetizzata se non “naturalizzata” a una fruizione frammentaria dei contenuti, non è più soltanto quella del film, ma – come ho già detto altre volte – di un complesso circuito paratestuale in cui il film viene parcellizzato e trasformato in tanti oggetti autonomi, da cui le nuove generazioni costruiscono ulteriori miti, prove iniziatiche, conferme identitarie. In questo contesto i prodotti specificamente per adulti divengono, controintuitivamente, per l’infanzia, e viceversa, se si pensa alla targettizzazione di grandi studi d’animazione, dalla Pixar alle case di anime giapponesi, che in effetti tendono sempre di più a produrre contenuti pensati per target quantomeno misti, sapendo di poter contare su una diffusione capillare e incontrollata mediante i nuovi media.
Si delinea così una “zona frangia”, un “target esploso”, in cui infanzia e “adultità” si incontrano, volenti e nolenti. Rendersene conto, comprendere questo meccanismo nei suoi funzionamenti strutturali, sociologici, ed estetici, è la base per iniziare ad immaginare delle soluzioni agli episodi spiacevoli riportati come esempio poc’anzi.

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