Esiste nel vocabolario italiano una parola sorniona: filosofeggiare. Questa forma verbale si contrappone al più solenne filosofare. Filosofare è fare filosofia. Filosofeggiare è scimmiottare il fare filosofia. Va da sé che il crinale tra filosofare e filosofeggiare è labile, e che la differenza tra l’una e l’altra prassi la stabiliscono, da un lato, l’esperienza e dall’altro, la presunzione.
Non mi risulta, tuttavia, la presenza sul vocabolario del verbo semioticare, né tantomeno del suo derivato ancor più azzardato: semioticheggiare.
Credo ce ne sarebbe bisogno, fosse anche solo per darci la possibilità di operare quel distinguo che nel più ampio ramo filosofico è reso possibile dai due lemmi. Perché è mia convinzione che semioticare sia un atto necessario e, in un certo senso, naturale — ma che spesso oggi si trasformi in un più problematico semioticheggiare.
Che differenza corre tra i due?
Beh, semioticare potrebbe essere impropriamente tradotto da qualcuno come “interpretare”. Chi semiotica (terza singolare del verbo “semioticare”) non deve cadere in un tranello insidioso, in cui spesso si rischia di rimanere invischiati. Semioticare non è dare interpretazioni, bensì spiegare come funzionano le interpretazioni che vengono date. Interpretare l’interpretante come modus interpretandi.
Questo non toglie che il semiologo non possa poi spingersi verso l’esegesi, ma in tal caso tralignerebbe verso un orizzonte un po’ diverso.
Semioticare è dunque chiedersi non tanto cosa voglia dire un certo fenomeno mediale, quanto come voglia dirlo. Sottile, ma fondamentale.
E un buon cittadino della semiosfera questa operazione la compie costantemente, perché il cosa e il come sono intimamente legati.
Eppure oggi, più che un sano semioticare — attività che richiede impegno, competenze, alfabeti, attenzione — domina un sudaticcio semioticheggiare: far divampare cioè piccole scintille solforose, elevate al rango di erudizione e invece destinate a mostrare in fretta la propria obsolescenza. Tutti, indistintamente, senza metodo, semioticheggiano, fingendo di semioticare.
Gli oggetti culturali contemporanei si prestano bene a questa perversione. Bombardino crocodilo esiste apposta per chiederci di essere analizzato, o almeno questa è la sua retorica. Un fenomeno così sempliciotto, stantio, momentaneo.
Un fenomeno la cui significatività effettiva è schiuma. E che però, se siamo maliziosi, può dare adito a una miriade di semiotichemi: stralci interpretativi, piccole teorizzazioni, simulazioni grossolane di massimi sistemi.
Semioticheggiare oggi è uno sport praticatissimo. In fondo, c’è un tempo e un luogo anche per quello. Non si può sempre semioticare, seriosamente, fondatamente.
Il problema, però — come per il filosofeggiare che sostituisce il filosofare — è la totalizzazione del discorso semioticheggiante, come segno di una banalizzazione e di un impigrimento generalizzato.
Un attimo.
E se anche questo mio non fosse che uno stolido semioticheggiamento?
Fra il semioticare e il semioticheggiare c’è di mezzo una particella morfematica
Elucubrunazioni.
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