Il DDL Sicurezza è legge. Ora sì che tutti noi possiamo dormire sonni tranquilli, sapendo che finalmente quei minacciosi profumatori alla cannabis non potranno più turbare la nostra agognata serenità. Potremo finalmente – e con che sollievo! – girare più rilassati per le strade delle nostre martoriate città, ora che le madri, quelle orrende madri, assaporeranno sin da subito il carcere ordinario (e non le strutture a custodia attenuata… chi si credevano di essere, sciocchine!). Comunque viva la mamma sempre, eh.
Potremo infine tornare a sfrecciare con i nostri SUV, gonfi di cherosene e senso civico, per le nostre superstrade, sapendo che quei pericolosissimi eversivi che tutti i giorni si siedono per strada e impediscono alle ambulanze di trasportare i feriti che abbiamo investito con i nostri SUV, se ci provano ancora, se ne vanno diritti diritti nelle patrie galere. Si trovassero un lavoro, invece che imbrattare dipinti di musei che non sappiamo neanche dove si trovano!
E ancora – ed era ora, credetemi – saremo finalmente sollevati dal tarlo che ci stava bucherellando le meningi fino a trasformarle in groviera: l’annosa questione della scheda SIM ai migranti senza permesso di soggiorno. Ma chi si credevano di essere, questi approfittatori? Prima ti metti in regola, poi – forse – ti concediamo il lusso di una telefonata. Con chi? Con chi hai lasciato indietro (sempre se è ancora vivo… e se invece è morto, allora la SIM non ti serve più, eheheh… dai, si fa per ridere su, è GOLIARDIA).
Prima ti metti in regola. Giusto.
E come fai a metterti prima in regola? Un buon modo potrebbe essere quello, che ne so, di fare in modo che le procedure per richiedere la cittadinanza della nostra fiera Nazione non durino due lustri, ma uno solo. Così da poter più velocemente rimpolpare le nostre fila di terra, di mare e dell’aria!
E, guarda caso, questa “velocizzazione” è proprio oggetto di uno dei quesiti referendari di questo fine settimana! Ottimo, no?
Stupisce allora l’altalena di contraddizioni – chiaramente strumentale – esibita, putacaso, dal nostro (sic) Presidente del Senato, la seconda carica dello Stato, colui il quale, rappresentando il vertice delle istituzioni, ha proferito dalla sua viva e gracchiante voce – anche un po’ divertita (ma sì, si scherza, semo fra amici) – che “farà propaganda perché la gente se ne stia a casa”. Mi pare di una gravità che definirei inaudita, se non fosse che invece è udita. In sua difesa (sic), non lo diceva dallo scranno di Palazzo Madama, bensì dalla “festa della cultura di destra”.
Cultura di destra. Un ossimoro perfetto, degno di un’antologia retorica. Potremmo usarlo da ora in poi per spiegare la figura retorica, mandando in pensione il vecchio e abusato “ghiaccio bollente”.
Ora, la situazione è TRAGIcomica. Lo è per motivi così ovvi che riassumerli sarebbe svilente per chi scrive e per chi legge. Mi limiterò a sostenere che si qualifica da sé un cittadino che incita a non andare a votare. E se questo cittadino è, incidentalmente, anche Presidente del Senato, allora siamo vicinissimi a poter indossare una botte al posto dei vestiti e andare in giro per le città urlando che è finita.
Ma in fondo, forse il vero nonsenso non è nelle istituzioni, ma in noi, che continuiamo a chiamarle tali anche quando lavorano attivamente contro il senso stesso della democrazia.
Tutto è dunque inutile? Nichilismo da quattro soldi. Se il nonsenso si promana dai palazzi dove le parole fingono di non significare più nulla — quando invece sono architettate con grande perizia — restano ancora occasioni, sempre più rare se non vegliamo su di loro, per proporre un senso (inteso anche come direzione) alternativo. A volte basta solo alzarsi un fine settimana e, prima del brunch, mettere una croce su una scheda.

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