Fra le poche soddisfazioni che una città d’estate, in era di cambiamento climatico, può offrire ai suoi sudati abitanti, c’è senz’altro quella di inchiodare su un muro bianco una zanzara notturna, il cui esile corpicino finisce per confondersi con la parete grazie a una sonora manata. Sarà solo il mattino dopo il momento del bilancio, quando alla rabbia del buio sarà subentrata l’ebbrezza della luce, dopo una nottataccia tutt’altro che riposante. A questo punto, i nostri idealtipici cittadini, già frustrati dall’essere – chessò – incastrati nell’umida pianura padana nelle ore più calde dell’anno, dovranno scendere a patti con la quasi molecolare fusione delle zampette del dittero con la vernice (il bianco dato proprio questa primavera) del muro più visibile della camera da letto. Tutt’attorno, una visibilissima macchiolina di sangue si staglia con una geometria inappellabile. È il loro stesso sangue, dei cittadini in questione, ed è straordinariamente fuori palette. Pur vantando un diametro spannometrico di pochi millimetri, la suddetta macchia è capace di risaltare anche a 50 metri di distanza, reificando il vecchio modo di dire del “pugno nell’occhio”. La zanzara è morta, ma il suo lascito irritante resta lì, come l’eco di quel ronzio che – ben lungi dall’essere utile persino a lei (anzi avendola condotta a morte per la sola colpa di volersi nutrire) – ci ha tampinato le orecchie devastandoci la fase REM.
La zanzara dunque, Aedes aegypti, mette alla prova anche il più antispecista. E le zanzare, lo sappiamo sempre meglio, costituiscono de facto un problema enorme, per il quale molta ricerca sta cercando di trovare una valida soluzione. Si pensi, a titolo di esempio, alla tecnica del “maschio sterile”, fondata sulla somministrazione mirata, in ambienti ad alta riproduzione dell’insetto, di maschi sterilizzati che, pur accoppiandosi, non riusciranno a fecondare, così abbattendo il gregge. Una metodica che, ad esempio, nel 1958 sull’isola di Curaçao, ha debellato il dittero sarcofagide Cochliomya hominivorax, che stava creando enormi danni agli allevamenti di bestiame. Anche la più fervida etica animalista cede di fronte alla zanzara, emblema di quella parte del regno animale votata non solo al parassitismo, ma anche a causare danni più o meno ingenti (gli effetti delle zanzare nel continente africano sono ben noti).
Ora, se possiamo trovare dunque comprensibile – e finanche legittimo – spiaccicare una zanzara che ci sta suggendo il sangue (e ancora non mi capacito del motivo per il quale l’evoluzione l’abbia dotata di quel ronzio senza il quale potrebbe sopravvivere meglio), quel che invece mi suscita una serie di dubbi è un trend che da qualche tempo mi pare si stia diffondendo, senz’altro su Telegram, ma anche su luoghi retoricamente meno oscuri, quali Instagram o TikTok. Si tratta di profili che condividono video di torture inflitte alle zanzare (e ad altri insetti) nei modi più creativi. Zanzare accoltellate, gassate, decapitate con piccole ghigliottine, folgorate, bruciate con potenti laser e così via. Uno scenario di atroce creatività che esibisce un sadismo inusitato, “legittimato” dalla retorica soggiacente ai video, secondo la quale le zanzare, in fondo, “se lo meritano”. Ravviso una serie stratificata di problematicità in tutto questo fenomeno, ad oggi un po’ minoritario, ma che non escludo possa diventare più noto (nonostante alcune piattaforme censurino questi canali quando riescono a scovarli). E – per chiarire – non mi sfugge che su multiversi come Telegram circoli ben di peggio (applicando qui una sorta di semiotica tensiva del sadismo esibito). Proviamo a procedere con ordine:
- Le zanzare se lo meritano? Dubito. Le zanzare non possono che fare le zanzare. Dopodiché, sono dannose, quindi vanno “gestite”, ma la loro gestione dovrebbe, immagino, implicare la minima forma di violenza, o quantomeno non una violenza divertita.
- Ci vuole un certo sforzo empatico, ma nel vedere delle zanzare chiuse in un barattolo nel quale è immesso del gas dimenarsi fino a morire, fra quelli che appaiono come rantoli (le zampe che si torcono, il tentativo disperato di fuggire), tornano alla memoria certe immagini.
- Ai bambini insegniamo, da piccoli, che le formiche non si schiacciano per gioco (anche se per qualche motivo alcuni di noi mostrano la pulsione a farlo), e che sparare i petardi sugli scarafaggi è una cosa brutta.
- Lo spettacolo di ingegnosità esibita da questi video, che in via definitiva sono raccapriccianti, ha un che di prepotentemente artistico, che rimanda a certi passaggi foucaultiani e sadiani, in cui il potere si esercita sul corpo anche in forme teatrali e spettacolari.
Ciò che inquieta quindi non è tanto la morte della zanzara, quanto l’estetica della sua messa a morte, lo zelo nell’umiliarla, l’euforia da palcoscenico che trasforma l’annientamento di un essere vivente in contenuto da condividere. Non è questione di animalismo radicale, ma di umanità riflessiva: se la crudeltà, anche la più minuscola, diventa intrattenimento, forse il problema non sono più solo le zanzare.

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