Lo slasher movie è il vero zombie del cinema. Da quando è nato – e la datazione non è facilissima – ha avuto la sua fase d’oro, assai nota, e poi, come molti altri filoni, ha vissuto la sua agonia. Tuttavia, esso torna sempre e, purtroppo, sembra avere ogni volta qualcosa in meno da dire. Lo afferma chi, allo slasher, è storicamente e notoriamente affezionato. E così, con non poca sofferenza, continua a tentare di dargli una chance, quasi ogni volta puntualmente tradita.
Non ha fatto eccezione Totally Killer (2023), opera seconda di Nahnatchka Khan (la prima era la commedia agrodolce Finché forse non vi separi, del 2019). Il tentativo di base è già, per così dire, intrinsecamente zoppicante. Totally Killer si propone come cross-over tra filoni: un po’ slasher, un po’ fantascienza da viaggio nel tempo. Ok, ti do retta, ma se giochi così devi davvero tirare fuori qualcosa di convincente. E invece, purtroppo, il risultato è il solito minestrone di riferimenti facili(ssimi) – santo cielo, lasciate in pace Ritorno al futuro – senza un grammo di grinta.
Non c’è adrenalina. Non c’è godimento coreografico. Non c’è eccitazione sanguinolenta. Non c’è quella sessualità esibita e disinibita, tratto tipico del genere. E al posto di tutto ciò troviamo: una sorta di pedagogia posticcia (la protagonista che viaggia nel tempo e ci tiene a sottolineare ogni due per tre quanto gli anni ‘80 fossero arretrati); un uso macchiettistico degli stilemi del genere (il killer mascherato in primis, il luna park, il conflitto madre-figlia e tutte ‘ste menate qua); lo scimmiottamento postmoderno di questa o quella cosa che non fa ridere nessuno, specie se il tutto è sorretto dal piglio paraculo della post-ironia contemporanea (quella per cui non esiste mai una vera presa di posizione).
Ora, a che serve Totally Killer? Serve, in buona sostanza, a occupare una posizione in più nella schermata della piattaforma. Un film-filler, un film-riempitivo, la cui funzione è puramente ornamentale, per abbellire l’esperienza di navigazione con una nuova icona da cliccare. Lo slasher movie, un filone la cui apparente semplicità delle dinamiche drammaturgiche si scontra con la reale difficoltà di cavarne qualcosa di buono, ne esce ancora una volta estenuato. È un corpo rantolante, che nemmeno più percepisce i colpi che con tanta empietà gli vengono inferti.
Lo slasher, per sopravvivere, non ha bisogno di nuovi stratagemmi metanarrativi o citazionismi da bassa lega, ma di un ritorno al corpo, al desiderio, alla paura vera: non quella dello spettatore, ma quella del film stesso, che deve tremare nel mostrarsi, invece di nascondersi dietro l’ennesima trovata meta-cinica.

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