Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Uno dei motivi per cui Lo squalo è un film maiuscolo

Quattro pinne all’orizzonteeee

Ricorre il cinquantenario dall’uscita de Lo squalo, il film di Steven Spielberg che nel 1975 ha condannato alla selacofobia un’intera generazione. Ma anche il film che ha inaugurato il sempre provvido filone degli shark movies. Ma pure uno dei film con la colonna sonora più magnetica di sempre. E ancora il film che ha – più d’altri – dimostrato il talento e lo sguardo, in un certo senso unico, di un regista capace di coniugare horror e avventura, politica e prospettiva fanciullina.

Delle mille cose che si possono dire su Lo squalo, moltissime già dette, uno degli elementi per me più preziosi del film ha a che fare con il suo persistente tenore politico. E non mi riferisco solo alla prima parte, in cui Spielberg mette alla berlina la corruzione e l’incuria degli amministratori dell’isola di Amity, che per ragioni economiche mettono a repentaglio gli abitanti della comunità. Mi riferisco soprattutto al magistrale passaggio verso la fine, in cui il personaggio di Quint, vecchio lupo di mare, racconta il suo passato ai compagni di bordo mentre attendono di catturare il famelico squalo.

Qui scopriamo che il personaggio era nell’equipaggio della USS Indianapolis, l’incrociatore che nel 1945 trasportò l’atomica destinata a Hiroshima, e che affondò in seguito a un attacco giapponese nel mare delle Filippine. Quella dell’affondamento della Indianapolis costituisce ancora oggi una delle più gravi macchie della storia militare USA. Morirono quasi 900 persone, molti divorati dagli squali dopo giorni in mare. I soccorsi tardarono perché la missione era, per paradosso, “troppo segreta” addirittura per lanciare un SOS.

Cito, a mo’ di gioco, un film dimenticabile (a parte il finale, secondo me valido) con Nicolas Cage: USS Indianapolis di Mario Van Peebles (2016).

Tornando a Lo squalo, il monologo di Quint sul naufragio segna un drastico cambio di tono. I tre protagonisti, sul battello, prima si scambiano storie marinaresche con spirito goliardico. Poi, d’improvviso, l’atmosfera si incupisce. È la Storia, con la S maiuscola, che irrompe, che entra nella fantasia del film e la “buca”. Un passaggio antibellico potente, che impone il silenzio. Da lì in poi, la ferita non si richiude: né per il personaggio, né per lo spettatore.

Questo momento, che potrebbe quasi sembrare “forzato” rispetto alla narrazione, è in realtà una delle ragioni della grandezza del film. Perché Lo squalo, pur essendo IL monster movie per eccellenza, non è solo UN monster movie. È – anche – una lucidissima riflessione sulle colpe dell’umano, che ha inventato la guerra, riflesse negli occhi vacui di un cetaceo.

Nel geniale pezzo Gargaroz, Elio e le Storie Tese cantano:

“Hai sentito la novità?
Lo squalo bianco si estinguerà
Sì però lo squalo, quello di Spielberg,
Mi ha rovinato il piacere del bagno in mare
Eh per forza, mangiava motoscafi,
Barche, pontili e bomboloni del gas
E con questa dieta, ricca di legname,
Prima o poi ti si incastra qualcosa nel Gargaroz.”

Vero, condivisibile. Mi chiedo però come mai il film abbia generato una tale e condivisa paura per gli squali, e non un altrettanto condiviso terrore per la guerra.

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