Lamæntinus

Cose di cui francamente nessuno sentiva il bisogno

Il misterioso caso di Pietro Morello e della sua malvagia professoressa

Racconto di gran Cuore (ma non è De Amicis).

Mi è capitato sotto agli occhi un reel di Pietro Morello, giovane influencer che si occupa principalmente di musica, ma che spesso si espone su cause sociali. Nulla da dire su tutto questo. Il “contenuto” invece che mi è giunto ritengo sia, ecco, come dire, proviamo con un eufemismo: “criticabile”. Per chi volesse: https://www.instagram.com/p/DH3HWYjKizA/

Bene, il ragazzo ci racconta una storia, con musica patetica in sottofondo, e tono assolutamente recitativo. La storia è costruita con un tipico meccanismo di ribaltamento: Morello dice che ha incontrato una sua vecchia professoressa mentre era per strada, e che lei si è complimentata con lui per i suoi successi; poi però ecco il colpo di scena. L’influencer “rivela” che in realtà quella professoressa non lo avrebbe sostenuto, e che avrebbe avuto con lui atteggiamenti negativi, dandogli – e cito – dello “stupido e mediocre”, dicendo ai suoi genitori che “non poteva fare il liceo perché non era abbastanza intelligente”, e derubricando, in consiglio degli insegnanti, a ragazzate alcuni episodi tremendi (alcuni compagni che lo avevano chiuso in un cassonetto chiamandolo “busta di merda”). Proprio lei, quella professoressa che invece incontrandolo oggi per strada si è permessa di fargli i complimenti dicendo che “lo aveva sempre saputo che era speciale”.

È chiaro quello che Morello vuole fare, e cioè rivelare l’ipocrisia percepita della sua professoressa, che ora salta sul carro del vincitore. A che pro salterebbe su quel carro (cosa avrebbe da guadagnarci) onestamente mi sfugge.

Poco o nulla, tuttavia, di questa storia mi torna. Ed è chiaro che non posso che limitarmi a quanto Morello decide di dirci, omettendo ogni tipo di elemento che possa rendere il suo racconto verificabile o associabile a una qualche forma di effettiva circostanza. Non resta dunque che interpretarlo con un enorme sforzo di carità ermeneutica per come, in un certo senso, si dà: una specie di racconto mitico, che in qualche modo vuole parlare alla platea di studenti che come Pietro (mi scuso per il nome di battesimo, ma è per associarmi alla “freschezza” del suo linguaggio) oggi si sentono. Ciò in forza del sacrificio di ogni elemento di credibilità. Insomma, studenti di tutta Italia i cui professori vi danno degli stupidi e mediocri, non siete soli!

Forse è meglio che sia esplicito, io fatico a credere a questo racconto nella sua interezza. O meglio, posso anche credere, sforzandomi, che questo racconto abbia in sé degli elementi di verità, ma questi ultimi mi appaiono annacquati da una forte componente di percezione soggettiva e di emotività. Sì, ritengo che il contenuto di cui sto parlando sia, in buona sostanza, carico di violenza simbolica, nella totale asimmetria fra parzialità e pressappochismo del resoconto fattuale rispetto invece alla precisissima accusa, rivolta peraltro a soggetti non identificabili (e quindi nella sua genericità totalmente de-responsabilizzata). Come a dire: ce l’ho con te! Sì, ma con “te” chi? Con te, proprio te! Hai la coda di paglia eh?

Facciamo un minimo sforzo di analisi. Dare dello stupido o del mediocre a uno studente è un atto di una gravità inaudita (almeno oggi, un tempo si era più “libertini”). Un atto che, quando si verifica, è bene denunciare. La sequenza di episodi che Morello nel suo racconto descrive sono preoccupanti. Quel che però manca è:

  1. Come abbiamo già visto: qualsiasi elemento che possa dirci che sono veri. E attenzione: qui il punto è sensibile; perché Morello, incarnando un vittimismo tipico di una strategia retorica nota come “commozione del pubblico”, altro non fa che trasmettere questo vittimismo – attraverso la forma empatica del suo video – a una platea di ragazzi che non possono che avere una percezione piuttosto soggettiva della loro esperienza scolastica. È, in buona sostanza, la versione ammodernata del classico “la prof. ce l’ha con me”, che a volte è vero, altre volte invece legittima il proprio posizionamento vittimistico.
  2. La dimostrazione di alcuni assunti che vengono dati come assiomi, come: il bullismo non è mai colpa dei ragazzi, bensì degli adulti “che non sanno fare il loro lavoro”. Perché? Essere adulti è un lavoro? Cioè, da un lato dobbiamo essere tutti amici, tarallucci e vino, abbattere le barriere intergenerazionali, volemose bene, ma dall’altro invece si può con l’accetta ri-separare un presunto mondo degli adulti da un presunto mondo dei ragazzi? Molto boomer come prospettiva, mi pare. Aggiungo: Morello oggi è un adulto o un ragazzo? Sta facendo bene “il suo lavoro” quando in maniera così netta e schematica propone quella che presenta come una sua esperienza dandole tratti universalistici, come a dire che il racconto toccherà tanti? C’è dunque una epidemia di orrendi professori e professoresse cattivi, malvagi, in Italia, che danno degli stupidi e dei mediocri ai propri allievi, e che quando questi vengono chiusi in un cassonetto e bullizzati non li difendono a dovere?

Mi pare che in generale siamo di fronte, ancora una volta, a una concatenazione di elementi deteriori: populismo e demagogia mascherati da buoni sentimenti; alimentazione del conflitto e della polarizzazione allo scopo di attirare l’attenzione; ma anche un elemento, come dire, “nascosto”, e pericolosissimo. Perché posso anche provare a prendere per buono tutto il racconto di Morello (la professoressa esiste, gli ha detto e fatto quelle cose che lui dice, così come lui le racconta, senza che nemmeno il tempo gli abbia dato la possibilità di rivalutare la sua percezione della realtà rispetto alla realtà stessa). Accettiamo dunque che la misteriosa professoressa lo abbia umiliato. Ma lui non è come la professoressa. No? E allora perché la umilia, con un video del genere? Il bullizzato quindi non può che divenire, a sua volta, un bulletto? Il riscatto non si può esprimere che con la vendetta, e con un saluto che sa molto di malaugurio passivo-aggressivo (sorrisetto e “le auguro tutto il bene che lei non mi ha mai augurato, arrivederci professoressa”)?

Questo è il messaggio finale di questa torbida vicenda, apprezzato da 325mila persone. Che la vendetta è cosa BUONA E GIUSTA, si può esprimere in maniera indiscriminata in qualche modo coinvolgendo una intera comunità di professionisti (immaginate i prof. che il giorno dopo il video vanno a scuola), e soprattutto è un piatto che va servito social.

Com’è misera la vita negli abusi di potere, cantava Battiato. Di quale potere? Forse dovremmo chiedercelo.

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